papalagi

Il papalagi

Papalagi è l’uomo bianco nella lingua samoana. Un libro del 1920 conteneva i discorsi di un capo polinesiano al ritorno da un viaggio nel vecchio continente.

Il libro viene visto come una contraffazione letteraria ad opera del presunto traduttore E. Scheurmann, ma viene citato spesso a proposito del tema della relatività culturale e dello spaesamento.

Secondo Scheurmann, Tuiavii, venendo a contatto con gli usi e costumi del papalagi, se ne allontanò subito sbigottito. Una volta in patria tentò di mettere in guardia il suo popolo dal fascino perverso dell’Occidente. Nel testo è specificato che non era intenzione di Tuiavii pubblicare questi discorsi.

Il papalagi

Quanto più un uomo è un vero europeo, tanto maggiore è il numero delle cose di cui ha bisogno. Per questo le mani del Papalagi non stanno mai ferme, non riposano mai: per il gran fare le cose. Per questo i volti dei bianchi sono spesso così stanchi e tristi, e per questo pochissimi fra di loro arrivano a vedere le cose del Grande Spirito, a giocare sulla piazza del villaggio, a dire e cantare liete canzoni o, nei giorni di sole, a danzare nella luce e a rallegrarsi come a noi tutti è dato di fare.

Loro devono fare cose. Devono custodire le loro cose. Le cose stanno loro addosso e strisciano loro intorno come le formichine della sabbia. Compiono con gelido cuore qualsiasi delitto, per ottenere le cose. Si fanno la guerra non per l’onore o per misurare le forze, ma solo per amore delle cose.

Tuttavia, tutti loro sanno la grande povertà della loro vita, altrimenti non ci sarebbero tanti Papalagi che godono di grande onore perché passano tutta la loro vita a intingere ciuffi di peli in succhi di ogni colore, e con essi gettano belle immagini su bianche stuoie. Scrivono così tutte le belle cose di Dio, tanto variopinte e liete quanto loro riesce di fare. Con la terra molle danno forma a creature senza panni, fanciulle con i bei movimenti liberi di una vergine del villaggio Matautu, oppure a figure maschili che levano la clava, che tendono l’arco e spiano nella foresta la colomba selvatica.

Creature di argilla alle quali il Papalagi costruisce intorno capanne a festa, dove la gente arriva da lontano per contemplarle e godere della loro bellezza e santità. Stanno davanti a esse avvolti fittamente nei loro molti panni e rabbrividiscono. Io ho visto il Papalagi piangere di gioia davanti a tanta bellezza, che lui stesso ha perduto.