Sant'Antonio e il fuoco

Sant’Antonio e il fuoco

Simonetta Delussu, sardegnainblog.it

La leggenda

Sant’Antoni andava con il suo porcellino verso le porte dell’inferno per chiedere un po’ di fuoco. Ma i diavoli guardandolo con ironia gli risposero di no, anzi uno di loro si mise proprio di traverso davanti all’apertura che conduceva agli inferi per non farlo passare.

Il maialino però sgattaiolò via ed entrò passando attraverso le gambe del demone. E fu subito un gran trambusto, un gran chiasso, come di chi butta tutto per aria, i diavoli infatti lo rincorrevano da una parte all’altra, ma senza riuscire ad acchiapparlo.

Al che il diavolo che stava alla porta si fece da parte e fece entrare il Santo per riprendersi il maialino. San Antonio appoggiò la punta del suo bastone di ferula sul fuoco, per riposare un poco e, fatto un fischio, richiamò l’animale che gli corse vicino. Quindi il Santo riprese il bastone e si allontanò.

I diavoli non immaginavano certo che dentro il nucleo spugnoso della ferula si potesse nascondere della brace che a poco a poco continuava a bruciare, ma senza che se ne vedesse il fumo. Così con la sua astuzia il Santo rubò il fuoco all’inferno e lo regalò agli uomini.

Questa storiella mi ha fatto compagnia per tutta l’infanzia quando nonno mi raccontava la leggenda del Santo e del suo maialino che regalarono il fuoco agli uomini.

In ricordo di questo episodio la notte del 16 e del 17 gennaio in centinaia di paesi di tutta la Sardegna si accendono dei grandi falò.

Con Sant’Antonio, la Chiesa ha cristianizzato un culto ben più arcaico, teso a risvegliare la luce dopo il buio dell’inverno. La festa è infatti indubbiamente pagana, legata ai riti di morte e rinascita del Dio, della natura, del ciclo vitale. Tanti sono i simboli arcaici di morte e rinascita che ancora oggi lo testimoniano, a partire dal maialetto che accompagna Sant’Antonio nella leggenda, che non solo è strettamente legato a Demetra alla quale era sacro, ma nel folklore europeo incarna lo spirito del grano.

Inoltre la reminiscenza dei morti ci riporta ai riti funebri antichi durante i quali ci si nutriva appunto di miele. Quanto alle arance esse sono simbolo di fecondità e furono portate in dono da Giunone, sposa di Giove (di qui i fiori d’arancio), mentre per le streghe questo frutto rappresentava il cuore, un feticcio da far imputridire, fino alla morte della vittima del maleficio. Insomma ancora una volta morte e rinascita.

Anche il girare intorno al fuoco ballando e cantando ci riporta ai riti dionisiaci, durante i quali si doveva perdere coscienza per entrare in contatto con il mondo degli Dei. Il muoversi da destra a sinistra con passo zoppicante poi, il passo claudicante, sono elementi tipici di chi rientra dal viaggio nel paese dei morti, degli sciamani o dei bidemortos.

Allo stesso modo questo incedere particolare è tipico sia dei Mamuthones che delle altre maschere della Barbagia, che fanno la loro comparsa proprio nella notte di sant’Antonio, aprendo così il carnevale.

Le stesse maschere girano intorno al fuoco sacro per tre (numero legato alla cosmogonia o nascita del mondo) oppure per tredici volte ( rappresentazione delle fasi lunari). Persino la legna della pira veniva scelta con cura e tra essa non poteva mancare il mirto, messo tra i rami e i ceppi da ardere perché considerato una pianta legata al regno dei morti.